Autoreblog: L’amore ai tempi di Internet

chat_1Ho sempre trovato abbastanza stupido rebloggarsi da soli (lungi da me offendere chi lo fa, ovviamente parlo per me!), ma oggi ho letto già un paio di articoli molto belli (seppur altrettanto diversi) che parlano di relazioni virtuali (Avvocatolo – L’amore ai tempi della collera e Vittorio Tatti – A spasso nel tempo) e mi é venuto in mente questo post.

É uno dei primi che ho scritto su WP e parla di come é cominciata la storia tra me e Mr. Vain. L’incontro “reale” é avvenuto dopo poche settimane. 

Ho un carattere troppo impaziente e diffidente per riuscire a tirare per le lunghe una storia nata sul web, ma più frequento WP e leggo le vostre storie e più mi rendo conto di come sia a volte labile il confine tra virtuale e reale, soprattutto quando si parla di sentimenti. 

E niente (che fa molto slang da quindicenne) mi é venuta voglia di rebloggare questo post. Lo dedico a tutte le persone diffidenti come me, perché sappiano che, al di là di ogni mia previsione, da quella che era solo una conoscenza virtuale é nato l’Amore più che reale per Mr. Vain, quello che considero ancora l’amore della mia vita e che é ancora lì, un pò ammaccato, ma bello saldo, nel mio cuore. 

Spero che magari leggendolo qualcuno si decida a chiudere pc, smartphone, tablet e chi più ne ha più ne metta e a fare un passo o un salto al di là del virtuale. Perché virtuale é bello, ma come già saprete, reale é meglio!

L’amore ai tempi di Internet – Due solitudini si attraggono: Tu chi sei?

Ps. per i più curiosi, che vogliono sapere cos’è successo dopo, linko anche Il primo appuntamento, che in realtà parla del momento immediatamente precedente al primo appuntamento…e sono un pò leopardiana celosò, ma non é forse vero che l’attesa aumenta il desiderio?

Vi regalo una fiaba strana

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Non pensavo che l’avrei mai condivisa. Questa fiaba, Vi avverto, non è niente di ché.

L’avvertenza è d’obbligo, perchè mi rendo conto che in questi giorni di festa il tempo è più prezioso e bisogna scegliere accuratamente come usarlo.

Allora, Ve lo ripeto, e non per finta modestia, questa fiaba è lunghetta e non è niente di ché. Eppure per me è importante, come lo è la scelta di condividerla qui.

Questa fiaba l’ho scritta quattro anni fa, in risposta ad una storia molto bella che parla di un Cavaliere senza macchia e tante paure, che non posso per ovvi motivi riportarvi qui, perchè la proprietà intellettuale è di un certo Mr. Vain di cui qualche martire tra Voi, che è solito leggere le mie digressioni sconnesse, avrà già sentito parlare.

La fiaba che ho scritto io, è decisamente meno bella, ma l’ho scritta in un periodo in cui io e Mr. Vain non ci sentivamo da un bel pò, per spiegargli alcune cose nell’unico modo in cui riuscivo a farlo, così come aveva fatto Lui, inviandomi la sua storia. Inutile dirVi quanto io ci sia affezionata. Ed è questo l’unico motivo per cui ho deciso di condividerla con Voi, perchè in questo periodo di feste e bilanci questo Blog è sicuramente da mettere nella colonna delle Cose da salvare di questo 2015 così così, che sta per volgere al suo termine.

Questo Blog mi ha dato tanto, sicuramente più come lettrice che come blogger, ma le Vostre parole, i Vostri commenti sono stati altrettanto d’aiuto in questi mesi, di quanto lo sono stati i Vostri post, per me continue scoperte. E allora questa fiaba strana, un pò triste e un pò bruttarella, che mi fa anche un pò vergognare e che pensavo non avrei fatto mai leggere a nessuno (a parte mia sorella e Mr. Vain) io Ve la voglio regalare. In questa Vigilia della Vigilia, per dirvi GRAZIE, di cuore, con un piccolo pezzo di me.

C’era una volta -e forse c’è ancora- una principessa rinchiusa in una torre. Ad ogni modo, non era certo quella la prima volta che la principessa si trovava lì. La torre era un luogo spaventoso infestato da fantasmi, draghi e orribili bestie notturne, ma la giovane donna, discendente da una stirpe forte e valorosa, non si arrendeva mai e lottava strenuamente e a lungo contro ognuno di essi. I giorni -e soprattutto le notti- si susseguivano inesorabilmente in preda a battaglie sempre più ardue che sembravano non giungere mai al termine.

Accadeva però, seppur di rado, che la principessa riuscisse a godersi una giornata di tregua, in cui il sole riusciva a filtrare dalla piccola finestra della torre e a beneficiarla della sua calda e ristoratrice presenza. Erano quelli i giorni in cui si perdeva con lo sguardo negli splendidi scenari che si offrivano alla sua vista persino da lassù, da quell’odiato, triste e lugubre luogo. Erano le notti in cui la principessa sognava di tornare alla sua vita di sempre, al suo castello, dove c’erano sempre i suoi cari ad aspettarla. Oppure sognava di posti lontani e immaginava le fantastiche avventure e i meravigliosi viaggi che avrebbe potuto e voluto vivere in futuro. Ricordava tutti i giorni felici che aveva trascorso fino ad allora e fantasticava su quelli che dovevano ancora arrivare. E poi, nonostante fosse sempre stata schiva e diffidente sull’argomento, sperava un giorno di incontrare il suo principe. I giovani che aveva incontrato fino ad allora non si erano mai dimostrati all’altezza: alcuni li aveva scartati a priori, a qualcuno, invece, aveva aperto il suo cuore e raccontato la sua storia. Dopo cento promesse, forse oneste, ma pretenziose, i pochi che ne erano venuti a conoscenza se l’erano data a gambe levate o qualche volta la stessa Principessa, spaventata e stufa della solita e inevitabile reazione aveva deciso di scappare lei per prima, precedendola. Ciò nonostante, a volte, e suo malgrado, si abbandonava a fantasie sulla sua anima gemella, sentiva in cuor suo che doveva pur esserci da qualche parte, si domandava come mai non l’avesse ancora incontrata e soprattutto si chiedeva persino con una punta di sciocco risentimento, come mai impiegasse tutto questo tempo per venirla a salvare. Ma i giorni passavano e stanca di attendere invano, trovava dentro di sè una forza inaspettata che le consentiva di debellare tutti i suoi acerrimi nemici. Era solo in quel momento che finalmente riusciva a scappare dalla torre.

Ad onor del vero le cose non andavano esattamente così, ma accadeva qualcosa di cui la fanciulla non riusciva in nessun modo a capacitarsi: quando le orribili creature che abitavano la torre smettevano di tormentarla, si avvicinava tremante alla porta della cella e si trovava ancora una volta di fronte alla solita sconcertante scoperta: la porta era sempre stata aperta. Ad ogni modo fuggiva via e pian piano, scalino dopo scalino, assaporava nuovamente la libertà e dopo giorni e giorni di estenuanti ricerche riusciva infine a far ritorno al suo amato castello. Ma la principessa già sapeva (e soprattutto temeva) che il suo ritorno non fosse un “per sempre” e così ogni due, tre, quand’era fortunata persino quattro stagioni, si ritrovava nuovamente lì, rinchiusa nella stessa orribile cella posta in cima alla stessa maledetta torre. La sua speranza (ormai anche consapevolezza) che la porta fosse aperta non le dava il coraggio necessario per provare a scappare ancor prima che arrivassero i mostri. Era più forte e alla fine vinceva il timore infondato di scoprire che la cella non fosse più aperta come la volta precedente e che un giorno sarebbe rimasta imprigionata lì per sempre. Quest’idea la terrorizzava forse ancor più di tutte le orribili creature che la tormentavano incessantemente.

Per anni ed anni aveva creduto di essere vittima del crudele incantesimo di una strega malvagia e questa sua convinzione era avvalorata dal solito seppur sfumato ricordo: era sempre stata una donna oscura e incappucciata ad averla condotta fin lassù, tuttavia la principessa stordita, confusa, forse persino immobilizzata, non era mai riuscita a guardarla in volto. Ne ricordava perfettamente gli abiti, le movenze, la postura e anche la sua voce che le sembrava stranamente familiare…finché un giorno, riuscita ancora una volta a scappare dalla torre, ebbe la sua rivelazione e fu forse allora che ebbe inizio il suo vero tormento, la più crudele delle maledizioni.

La fanciulla stava correndo nel bosco col cuore in gola, col solo intento di allontanarsi il più possibile dalla torre, quando all’improvviso vide un ruscello, si fermò e si avvicinò per bere e rinfrescarsi. L’immagine che vide riflessa nell’acqua le tolse il respiro e la spaventò a morte.

Vide il suo stesso volto e il suo stesso corpo ricoperti dagli abiti e da quel cappuccio che indossava la misteriosa donna malefica. Improvvisamente ogni cosa divenne chiara e nessuna verità poteva essere più atroce, nessuna spiegazione poteva essere altrettanto funesta e fatale. Non esisteva nessuna strega maligna che l’aveva rinchiusa, nessuna magia nera o incantesimo da poter spezzare. Solo una principessa che si rinchiudeva da sola in una torre dalla quale avrebbe potuto uscire in qualsiasi momento, se solo ne avesse avuto il coraggio.

Questa fiaba, ammesso che di fiaba si tratti, non ha un lieto fine, non c’é nessun drago da uccidere e nessun principe dalla sfavillante armatura. Solo una principessa con i vestiti logori e l’anima trafitta a seguito di cento battaglie, che ancora non si dà per vinta perché ora sa che il lieto fine, se mai ci sarà, l’avrà costruito, giorno dopo giorno e con le sole sue forze, solo lei, proprio lei e persino lei: la principessa che era anche una strega.

POST-FAZIONE:
Si tramanda che nella torre della principessa vennero ritrovati dei post-it che ella scrisse nei giorni più neri della sua prigionia..eccone 4…

POST-IT PER DIO
Aiuta questi cuori stanchi, guarisci le anime inquiete.
C’è un mondo che fa festa per i morti e sputa sulle lacrime dei vivi.
Fai ballare chi non ha gambe per poterlo fare.
Fai sognare chi da tempo ha solo gli incubi più neri.
Qual’è la legge? Sempre se c’è dimmi qual’ è.
Scusa il cinismo ma ho finito l’amore e non ho idea di dove sia il distributore.
Qui sono nata, ma sono in terra straniera.

POST-IT PER ME STESSA
Quando avrai i pugni chiusi, lo sguardo di fuoco e uno stomaco senza pietà.
Quando avrai parole assassine e silenzi innalzati come muri invalicabili.
Quando avrai messo la madre e il padre all’angolo e l’amore a puttane.
Quando avrai deciso di spegnere anche l’ultima stella.
Quando piangerai senza neanche sapere di farlo
Lacrime che scorrono sul viso a piangerti morta
come le madri di un figlio che non è più tornato dalla guerra
Ricordati che gli errori più grandi non sono stati i baci non dati, le lauree non prese, gli amici non richiamati.
L’errore più grande è stato smettere di credere che Qualcuno ti guarda, ti ascolta, ti perdona e ti ama così come sei. Perfino ora.

POST-IT PER CHI C’È SEMPRE STATA
Non a caso sarà l’unico non incazzato.
Non a caso sarà il solo a scavare milioni di piccole crepe su un cuore di pietra.
Non a caso farà ricordare arcobaleni e sorrisi e occhi che brillano ancora.
Non a caso farà sospirare e respirare aria buona.
Non a caso farà tornare il pensiero leggero in quel posto dove l’amore ti viene a cercare.
Non a caso mi riporterà da te
con in mano un raggio di sole
a chiederti di dar fuoco insieme a tante inutili parole
perché Dio ha già fatto quel miracolo che aspetto
quando ha deciso di regalare te alla mia vita.

POST-IT PER CHI DEVE ANCORA ARRIVARE
Stop. Non entrare. Avvicinati, stringimi, amami, ma rimani lì, sulla porta.

Maledetto tempismo

C’è sempre stato un terzo incomodo tra noi due. E non si è mai trattato di un’altra donna o di un altro uomo. Beh ci sono stati anche quelli, inutile negarlo, ma non hanno mai contato veramente. Almeno per me.E a dire il vero nemmeno a detta tua..”Sbandamenti” alla De Sica li hai definiti una volta..beh non so se è vero, quello che so per certo è che se c’è stato un terzo incomodo tra noi, beh questo si chiama TEMPISMO.

Siamo i tipici personaggi da film che non sanno di essere nello stesso posto nel medesimo istante, magari schiena contro schiena, con solo un muro o un vetro e una manciata di centimetri a separarli. Vicini, ma lontano dagli occhi, seppur non dal cuore.E così mi ritrovo nei tuoi posti abituali quando tu ti trovi nei miei e viceversa…e così le chiamate perse, i messaggi non arrivati e soprattutto i momenti sbagliati. Siamo sempre le persone giuste al momento sbagliato.

E’ per questo che quando ho visto Dieci Inverni ho subito pensato a noi. E stasera ho anche ritrovato una frase che mi dà speranza. La dedico a noi e a tutti quelli come noi, quei personaggi da film, i Silvestro e Camilla che esistono anche nella realtà, a tutti gli amori mancati, persi per un soffio di vento, una sliding door, un dannatissimo secondo di tempo.

Mi piace pensare che, per una volta almeno, sia il tempo ad attendere noi e non il contrario“. Massimo Bisotti

DAMNATIO MEMORIAE

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Io ci ho provato a dimenticarti, davvero, ci ho provato credimi. Ho chiesto aiuto a Dio, a tuo padre, alle stelle e alla luna. Ho messo in moto tutta una serie di riti per procedere alla tua Damnatio Memoriae. Era il 20 agosto e avevo ben fisse nella mente le parole che mi aveva rivolto e in un certo senso “regalato” quello scrittore. “Chi ha imparato a fare a meno di noi non è per noi” aveva detto. Ed improvvisamente era come se la porta della consapevolezza si fosse aperta in angolo della mia mente. Una porta spalancata su uno specchio d’acqua limpidissimo in cui non c’era riflessa la tua immagine, nè quella di nessun altro. Mi chiamava, mi attirava a sè e mi invitava a bere e a bagnarmi come se si trattasse di un battesimo o di un’iniziazione.
Così quella sera avevo preso il tuo hd, che avevi lasciato a casa mia e che ancora non ti eri venuto a riprendere e ci avevo messo su le nuove puntate della nostra serie preferita. Era un simbolo: Non ero più disposta ad aspettarti. L’avevo fatto per troppo tempo, senza nemmeno comunicartelo e tu, ignaro, avevi giustamente ripreso e continuato indisturbato la tua vita o la tua ascesa al potere come probabilmente avresti preferito definirla.

Beh, era giunto il momento che lo facessi anche io. Non mi interessava sapere se anche tu mi avevi aspettato, almeno per vedere insieme la sesta serie di The Big Bang Theory, non mi interessava sapere se te l’eri già vista da solo o con qualcun’altra che aveva preso il mio posto. “Chi ha imparato a fare a meno di noi non è per noi”. Era talmente chiaro e lapalissiano che non mi spiegavo come non avessi potuto capirlo prima. Di fronte a questa consapevolezza non si poteva rimanere inermi o bloccati ad aspettare non si sa chi o che cosa. Il momento magico in cui finalmente avrei potuto “vuotare il sacco” non era arrivato. Il regalo del tuo compleanno era ancora lì nel mio armadio insieme al biglietto d’auguri. Ed era come se in tutti questi mesi mi ci fossi chiusa anche io in quell’armadio, sperando che un giorno mi avresti voluto rispolverare come hai fatto col tuo vecchio moncler! Ma non sono un capo d’abbigliamento. E se lo fossi probabilmente non sarei fra i più costosi e griffati o fra quelli che piacciono a te. So di essere stata la tua maglietta sfigata che inspiegabilmente amavi tanto sebbene non l’avessi comprata da Vuitton né in nessun altra casa d’alta moda. Sì probabilmente a modo tuo mi amavi anche tu, questo lo so. Le tue labbra son state spesso bugiarde, ma i tuoi occhi no. A quelli ho sempre creduto. Ma ora avevi deciso che nella tua vita non c’era più posto per una t-shirt del genere. Probabilmente la conservi ancora in un cassetto del tuo cuore, ma non la indossi più, né hai intenzione di farlo. “Le persone che hanno imparato a vivere senza di noi non sono per noi”. Schiaccio play. Penny rimane sconvolta dalla valigetta del make up di Leonard e dalla quantità dei suoi trucchi. Sorrido. Non c’è nessuno a fianco a me sul letto e mi fa strano, ma nonostante tutto sorrido. Alla battuta e forse anche alla mia nuova vita.