È difficile dire perché si ama qualcosa.
Ogni volta che mi è stata posta questa domanda, qualsiasi fosse l’argomento: che si trattasse di un hobby, una passione o una persona, la tentazione un po’ infantile di rispondere “perché sì” è sempre stata dietro l’angolo.
Molto spesso la risposta o meglio le risposte sono talmente insondabili o connaturate con la nostra più intima essenza da risultare davvero difficili da spiegare o (peggio ancora) elencare agli altri.
Forse il mio amore per la scrittura nasce anche dal mio essere, per natura, profondamente introspettiva, dall’aver bisogno di analizzare sempre ogni cosa accada, dentro e al di fuori di me.
Scrivere diventa una sorta di valvola di sfogo dei troppi pensieri che affollano la mia mente.
Sì è questo, ma è anche molto di più. Scrivere è ricordare, fissare su un foglio di carta (o di Word!) una giornata speciale, un momento irripetibile, un’emozione unica.
È divertirsi: giocando e sperimentando con quello strumento meraviglioso ed estremamente duttile che è la parola.
È comunicare: rispondere all’urgenza di raccontare una storia o trasmettere qualcosa di proprio agli altri.
È immaginare: andare in luoghi in cui non sono stata, inventare storie, situazioni e personaggi, che vivono nella mia fantasia e non esistono nella realtà , pur prendendo spunto da essa.
Eppure manca qualcosa: cosa sia scrivere per me, non lo so spiegare.
Come del resto non so spiegare l’amore senza privarlo inevitabilmente di qualcosa.
E allora preferisco raccontarlo.
Riportando lo stralcio di un brevissimo racconto autobiografico “L’insostenibile leggerezza dello scrivere“, che avevo buttato giù, un paio di anni fa.
Scrivere era come liberarsi da pesanti zavorre. Ero una mongolfiera che non riusciva ad alzarsi in volo per i troppi pesi che aveva addosso, ma più scrivevo e più mi alleggerivo. Ogni parola era un mattoncino di pesanti pensieri che lasciavo scivolare via. Scrivevo e mi domandavo quanto avrei dovuto scrivere ancora per sentirmi finalmente leggera.