The never-ending why


https://youtu.be/3CUxVbcZdOg

Time will help you through

But it doesn’t have the time

To give you all the answers to the never-ending why

Punti di domanda così grandi da riempire il cielo

E noi così piccoli visti dall’alto, ma anche a figura intera

Ci incazziamo per la macchina che non parte 

Senza girarci a guardare il paesaggio 

Senza respirare quando serve e quanto serve

Senza dire grazie ad un cielo che resta con noi nel sole e nella pioggia

Resta lì nonostante gli acquazzoni, i tornado e i nubifragi

Nonostante le polveri sottili e le piogge acide 

Resta lì senza rispondere ai nostri infiniti perché 

Eppure resta lì 

a ricordarci l’infinito,

Nonostante noi

Black – Scusate l’assenza!



Ascolto Black correndo in bici sul lungomare e i pensieri vanno più veloci di questi pedali. Mi chiedo perché non ho più voglia di leggere e di scrivere, come mai questa pausa da WP sta durando più di quanto mi aspettassi. Alcune risposte ce l’ho già , ma stanno bene lì nella scatola dei “pensieri che non voglio fare”, altre forse le sto trovando in questi giorni che sono allo stesso tempo indaffarati, ma anche rilassanti, lontani dal cahos della mia amata-odiata città. 

E poi tra i “pensieri che non voglio fare” ecco spuntare lui, il solito, quello che ha dato inizio a questo blog, quello che ancora non riesco a lasciare andare del tutto, il solito asfissiante pensiero su Mr. Vain. 

E appena si ripresenta non lo so se é un caso, ma Eddie Wedder sta cantando queste parole: “So che un giorno avrai una vita meravigliosa, so che sarai una stella. Nel cielo di qualcun altro, ma perché? Perché, perché non può essere, perché non può essere il mio?”. 

E così tra le domande che non mi vorrei più fare, puntuale, arriva anche questa e insieme ad Eddie mi domando: Perché? Perché dannazione non può essere il mio? 

E mentre il sole sta tramontando penso che di tempo, dolori, persone, risate, vita ne sono passati eppure c’è quel pensiero che non tramonta. 

E WP mi informa che proprio oggi sono ben 2 anni di blog e per me é stato un battito d’ali e allora, abbiate pazienza, forse non passerò più tanto spesso di qua, ma non sono ancora pronta a cambiare nome a questo virtuale e sgangherato posto!

L’attimo

  

E ci siamo mischiati la pelle le anime le ossa ed appena finito ognuno ha ripreso le sue…

Luciano Ligabue

Dimenticarsi completamente di chi un giorno eravamo e di chi forse un dì saremo,

Non importa se hai una laurea o due o tre o se sei completamente scemo,

Nell’incanto dei sensi non conta chi sei, ma solo se ci sei e quanto ci sei.

Intrappolare quell’attimo in cui l’io diventa noi, per renderlo eterno, é il sogno impossibile di tutti,

Ché poi, spesso, finita la magia, si torna nella propria pelle a fare i conti con la propria solitudine.

Malinconia

Il colore del vetro – Il disordine delle cose


Ti osserverò per ore e ti resterò a guardare 

Ti osserverò per ore così come si osserva il mare 

É come un’onda la malinconia,
se ti lasci attraversare lei va via, tornandosene da dove era venuta, ma se ti opponi, credimi,
se tu le resisti, é in grado di sommergerti.

Dieci Capodanni

 

Dieci inverni che ti conosco, zero capodanni insieme.

Non fa eccezione questo, nessuna eccezione.

Non la fece quel Capodanno crudele di dieci anni fa, in cui eri al capezzale di tuo padre, mentre io insieme a persone – troppe- che chiamavo ancora amici.

“Questo è l’ultimo che passiamo separati”, mi dicesti al telefono, mentre cercavo di asciugarmi le lacrime, perchè di là mi reclamavano a gran voce per le carte. E ricordo ancora il coro dei miei “amici” che mi accolse al mio rientro…”Sta a scopà…sta a scopà…”, ma questo ovviamente tu non lo sai e non lo saprai mai, così come loro non seppero mai dov’eri quella sera.

Non fa eccezione nemmeno questo Capodanno, in cui non ho idea di dove sarai, nè con chi. E in cui spero di precedere i tuoi auguri di mera circostanza, se saranno gelidi come quelli di Natale. Fa già abbastanza freddo senza di te, non ho bisogno di altro gelo.

Tra le righe sottolineate di questa canzone, la risposta a quel nostro dialogo di un paio di anni fa…

Buon anno, Mr. Vain!

“Per me la più bella è Orfani ora…

“Non esiste proprio, è Parla piano, parla anche di te…”

“Di me? E perchè mai…???”

“Perchè sì…”

“Ti odio quando rispondi così…”

“Perciò lo faccio…”. Rido e scappo dentro, lasciandoti finire la tua sigaretta in terrazza, pregustando già il momento in cui mi raggiungerai per farmela pagare…

Parla piano e poi
non dire quel che hai detto gia’
le bugie non invecchiano
sulle tue labbra aiutano
tanto poi
è un’altra solitudine specchiata
scordiamoci di attendere
il volto per rimpiangere
Parla ancora e poi
dimmi quel che non mi dirai
versami il veleno di
quel che hai fatto primaÂ…
su di noi
il tempo ha gia’ giocato ha gia’ scherzato
ora non rimane che
provar la verita’
Che ti da’ che ti da’
nascondere negli angoli
dire non dire
il gusto di tradire una stagione
sopra il volto tuo
pago il pegno di
volere ancora avere
ammalarmi di te
raccontandoti di me

Quando ami qualcuno
meglio amarlo davvero e del tutto
o non prenderlo affatto
dove hai tenuto nascosto
finora chi sei?

cercare mostrare provare una parte di sé
un paradiso di bugie

La verita’ non si sa non si sa..
come riconoscerla
cercarla nascosta
nelle tasche i cassetti il telefono

che ti da’ che mi da’
cercare dietro gli angoli
celare i pensieri
morire da soli
in un’alchimia di desideri

sopra il volto tuo
pago il pegno di
rinunciare a me
non sapendo dividere
dividermi con te

Che ti da’ che mi da’
affidarsi a te non fidandomi di me..
Sopra il volto tuo
pago il pegno di
rinunciare a noi
dividerti soltanto
nel volto del ricordo

La descrizione di un attimo

http://youtu.be/88juOMDziVg

Guardo la foto con la felpa verde in cui sorridi o forse ridi di vero gusto, non lo so. E ricordo quella volta di tanti anni fa in cui mia sorella guardandola ha esclamato: “Cavolo, ma Mr. Vain ha proprio un bel sorriso eppure penso di non averlo visto mai!”. E pensare che in quei mesi, perfino io l’ho visto poco il tuo sorriso. Ricordo ancora la frase dura e raggelante che avevi come status su Messenger. “Prendo le distanze da me perché non voglio avere niente a cui spartire con me”. Erano tempi bui e mi dicevi sempre che ero la tua boccata d’aria fresca, l’ora di libertà che regalavi alle “tue prigioni”. Io ancora non lo so cos’hai passato Mr. Vain e spero di non doverlo scoprire mai, ma quando dopo anni hai cominciato a sorridere di nuovo, ho finalmente visto tutto quello che mi ero persa. E ho avuto la fortuna di vederlo ogni giorno il tuo sorriso per almeno un anno. E mi sono innamorata di nuovo di te. Ho amato tutto di te: la tua oscurità e la tua luce e sarebbe ancora così, ma la tua oscurità mi ha sempre messo all’angolo. Mi ha fatta sentire impotente e inerme di fronte a un muro invalicabile. É per questo che nonostante tutto, l’unica cosa che mi auguro e che ti auguro é che tu sorrida. Anche se mi manchi e il tuo sorriso mi manca da morire, sappi che se stai sorridendo, va tutto bene, anche se non ci sei. Anche se dirmi “Come vanno le cose? Ricordati che, anche se non sembra, ci sono…” é solo un’ammissione di colpa non richiesta. Anche se non ti ho risposto, sappi che io me la caverò, andrà tutto bene. Me la sono sempre cavata. Non sono mai stata veramente sola, a differenza tua ho sempre avuto qualcuno su cui contare, qualcuno che c’è sempre stato davvero e non solo sulla carta. E forse per questo, a differenza tua non ho mai avuto “bisogno” di nessuno. Non ho mai scelto di stare con qualcuno per non stare da sola, a differenza tua, che solo non sai stare “perché pensi che dividere la vita sia normale”. E forse é vero c’è anche un pò di rabbia in queste mie parole, ma credimi, se ti dico che se stai sorridendo va tutto bene, andrà tutto bene. Lo penso davvero.

Il cielo su Torino

  

Saperti lontano,

Di una distanza fatta di chilometri,

E non più di silenzi,

Mi rassicura.

E custodisco i miei sogni 

e i tuoi perché 

Per quando tornerai.

Ma tu parlami ancora,

Parla ancora con la voce

che hai solo per me


Il cielo su Torino sembra ridere

Al tuo fianco

Tu sei con me

http://m.youtube.com/watch?v=7PA7Zzux-v8

Mimosa

Niccolo Fabi – Mimosa

“Perché cosa non ricorderei io?

Presa blu non sapeva cosa rispondere. L’aveva lanciata lei quell’accusa, eppure nel momento esatto in cui l’aveva pronunciata aveva sperato con tutto il cuore di potere essere smentita.

E così era stato.

Mr. Vain ricordava tutto, ma proprio tutto, come lo ricordava lei. Come se quei tre anni, quasi quattro secondo Presa Blu, non fossero mai passati.

Erano riusciti a battibeccare pure su quello, su quanto tempo fosse passato, ma quando Mr. Vain le aveva fatto presente che ricordava benissimo l’anno in cui aveva combinato “quel casino” perché era stato lo stesso anno della dipartita di suo papà, lei non aveva più controbattuto.

In fondo non era mai stata un asso in matematica e per quanto avesse esordito piccata con il suo “quasi quattro, se la matematica non è un’opinione…“, quando lui le aveva dato quella risposta aveva taciuto, rendendosi conto di aver fatto male i conti.

E soprattutto era rimasta gelata: dannazione quelle parole facevano ancora male.

Il “casino” e la morte del padre: eventi che si erano succeduti in una sequenza di tempo troppo ravvicinata perché lei non ci trovasse un nesso inequivocabile. Non poteva non considerarlo, anche se chi le stava vicino le aveva ripetuto più volte che il suo comportamento non andava in alcun modo giustificato, né tantomeno perdonato.

Eppure, a distanza di tre anni di silenzio, sebbene Mr. Vain pensasse di essere l’unico a sentirsi in colpa e a doversi ancora scusare per il suo inqualificabile comportamento, non era il solo.

Anche Presa Blu si sentiva terribilmente in colpa per non essergli stata vicino e nonostante la rabbia, l’orgoglio ferito, la profonda delusione, quello che l’aveva ferita di più forse era stato il suo stesso implacabile senso di colpa.

Quel giorno, dopo quasi quattro anni di silenzio, non gli disse nulla.

Rimase lì ad ascoltare scuse e a rinfacciare errori, continuando a ripetergli e a ripetere a se stessa, come fosse un ritornello imparato a memoria, che lui non poteva più nuocerle, che le risposte che cercava se le era date da sola, perché da sola aveva dovuto ricominciare.

Mentiva. A lui e a se stessa.

Aveva ancora bisogno di quelle scuse e, soprattutto, aveva bisogno di essere perdonata anche lei. Per le sue diffidenze, per la sua intransigenza e soprattutto per tutte le sue paralizzanti paure.

Il giorno in cui il mondo di Mr. Vain era crollato sulle sue spalle di finto supereroe, Presa Blu non aveva fatto nulla.

Non era riuscita a dire nulla e soprattutto non era corsa da lui.

Quel mattino di pioggia, “in anni di pioggia”, quando lui le aveva telefonato per metterla al corrente, aveva, persino, esitato prima di rispondere, limitandosi a fissare il cellulare che squillava tra le sue mani tremanti.

Lo aveva lasciato squillare un bel pò prima di decidersi a rispondere, terrorizzata, perché in cuor suo già sapeva cosa lui le avrebbe detto e in risposta a quelle parole non c’erano parole che potessero andar bene.

A volte le parole non possono nulla, ma proprio nulla. Forse qualcosa, molto poco, ma pur sempre qualcosa, possono gli abbracci, la presenza, gli occhi, le mani. È poco, pochissimo, una goccia di amore che annega in un mare di dolore, ma è pur sempre qualcosa.

Le parole, invece, a volte non restituiscono niente, neanche una goccia d’amore in un mare di dolore.

Sono solo parole e rimangono vuote, se restano sole.

In certi momenti contano solo i gesti, le mani che stringono mani, gli abbracci che sostengono chi vorrebbe solo lasciarsi andare, perché il piccolo mondo è crollato e con esso la stupida maschera da eroe.

Parlò poco, cercando di far parlare lui, ma la sua voce fredda e dura disse poco e tagliò corto. No, lei non doveva andare e non poteva fare assolutamente nulla, perché nulla ormai c’era da fare. Lei provò a dire qualcosa, ma le sue parole le suonarono come di circostanza. Improvvisamente si era sentita come un’estranea e non capiva di chi dei due fosse la colpa.

Rimasero d’accordo di sentirsi quella sera, ma quella sera lei non lo aveva richiamato e senza dirgli nulla, era andata in chiesa, da sola, e aveva pregato. E quel gesto le era sembrato, persino, importante perché fatto a sua insaputa, trascinandosi lì con la febbre altissima, mentre fuori diluviava. Così come le era sembrato importante e di grande sensibilità da parte sua, decidere di non raccontargli nulla il giorno prima, quando nella corsa cieca e disperata verso il veterinario, il suo coniglietto le era morto tra le mani.

Non aveva mai toccato la morte con mano. Aveva avuto delle perdite, alcune anche importanti, ma non aveva mai visto la morte così da vicino. Sentirsi inutile e impotente, mentre un piccolo essere va via tra le tue mani. Quel dolore le aveva straziato il cuore in un modo che non aveva mai provato prima d’ora…non riusciva a smettere di piangere…ma…poteva chiamarlo?

Sfogarsi con lui che stava combattendo contro se stesso, in quei giorni terribili in cui non aveva neanche la forza di andare in ospedale ad affrontare quello che ormai sapeva inevitabile?

Quel piccolo, gigante dolore poteva mai essere condiviso con chi sta per affrontarne uno incommensurabilmente più grande?

Il giorno dopo, quando quella telefonata senza una sola lacrima da entrambe le parti, l’aveva lasciata impietrita, aveva capito quanto fosse stata egoista solo ad averlo pensato. E, soprattutto, si rese conto di quanto fosse codarda.

La verità era che anche in un momento del genere le era mancato il coraggio. La paura di non essere voluta, di essere inopportuna e le altre sue paure inconfessabili avevano, ancora una volta, avuto la meglio. No, non era Mr. Vain con il suo “casino”, il solo a dover chiedere scusa.

Gli errori li avevano fatti entrambi.

É sempre così quando finisce una storia d’amore, pensò.

La colpa non è mai da una parte sola e soprattutto che senso ha parlare di colpe?

Sospirò e penso ancora una volta a quella canzone di Niccolò Fabi che proprio Mr. Vain in tempi non sospetti le aveva fatto ascoltare.

La cercò nella libreria multimediale e cliccò su play mentre una lacrima silenziosa le rigava il viso.

Il silenzio imbarazzato
di chi sa di non tornare
la lasciò senza parole.
Della porta che si chiuse
non sentì neanche il rumore
tanto forte era il suono del suo rancore.
Per guardarsi nello specchio
mise l’abito migliore
perché fosse più elegante il suo dolore.
Da quello che le ha sputato addosso
perché non ha detto
perché non ha fatto
ora si sente soffocare.
Quando si comincia a recriminare
è il momento in cui si sta per sparire.

Mimosa
bella
riposa
che il sogno
ti dona

Così pensò al loro primo incontro
alla magia di quell’incanto
alla sua gioia elementare
alle grida di piacere
soffocate dal cuscino
quando un gesto primitivo
si fa divino
e a quella esaltazione del presente
di un amore che ancora non ti ha chiesto niente
niente da sacrificare.
poi del lasciarsi il solito rituale
dove ogni uomo diventa così banale.

Mimosa
bella
riposa
che il sogno
ti dona

Imagine me and you – Parte prima 

 Mr. Vain: “È sempre un piacere, rivederti (Cognome di Presa Blu)! Ci prendiamo un caffè?”  Presa Blu: ” Sì, grazie, prendo un caffè e anche 10 minuti del tuo tempo, se puoi concedermeli…” Mr. Vain: ” Che succede? Tuo padre … Continua a leggere