Sorelle calabre

  

Mi chiedo spesso come saranno le telefonate tra me e mia sorella tra qualche anno, quando lei si sarà sposata e, per forza di cose, saremo costrette ad usare il maledetto telefono come mezzo di comunicazione. 

Me lo domando, soprattutto, quando -non per mia volontà, ma per ragioni che hanno a che fare con l’acustica e i decibel- mi trovo malauguratamente ad ascoltare una conversazione telefonica tra mia madre e una delle sue sorelle. 

Ora, dovete sapere che mia madre, trapiantata a Roma da quasi trentanove anni, non ha mai rinunciato al dialetto calabrese, pur avendo tre figlie romanacce, un marito cresciuto a Roma e, pertanto, di madrelingua italian-romanesca e, soprattutto, nonostante abbia insegnato per più di trent’anni a bambini di scuola elementare che -sia che lei insegnasse in borgata che ai Parioli- le si sono sempre rivolti con “A maé!”, hanno sempre scritto tera anziché terra e l’hanno sempre presa in giro per pronunciare le t come le d (cosa che a volte produceva immancabili errori anche nei dettati o meglio deddadi). 

Pertanto, sentire mia madre parlare in dialetto stretto per me non é certo una novità, ma quello che ancora riesce a sconvolgermi é che  le conversazioni telefoniche tra mia madre e le mie zie  seguano sempre lo stesso schema invariato da anni e tocchino principalmente e in ordine categorico i seguenti argomenti: faccende domestiche, figli e morti. 

– oh ti disturbo, chi stavasi facennù?

-Nente, no, stavu lavannu ‘nderra..

-ti c’abbacava moh, sembre ca ti piddjasi impicci stupidi…tu u’ facera vide je com’è ridotta casa mia, solo di pruvula…

Sorvolando il fatto che dopo quasi quarant’anni di onorato matrimonio mio padre non sia ancora riuscito a capire che la pruvula é la polvere e non un formaggio, la suddetta telefonata continua, quasi sempre, come ho già detto, con le vicendevoli lamentele sui rispettivi pargoli ( trattati come tali anche se il più piccolo di noi ha quasi ventisette anni) e, infine, con l’elenco intervallato da vari uamba! (=oh cazzo! Ndr – nota da romanaccia) dei compaesani che sono volati tra le braccia del Creatore. 

Immancabilmente la conversazione si chiude bruscamente con mia zia -la stessa che rimproverava mia madre per darsi troppo da fare in casa- che deve scappare perché deve ancora andare a sciacquare le tende, sbattere i tappeti, spolverare i lampadari, lavare il terrazzo, pulire il forno a microonde, cucinare i cavateddri, preparati all’alba e sono già le 7.00. 

Già le 7.00. 

Di Domenica mattina. 

Onde per cui madre calabra, appena attacca la cornetta viene presa dai sensi di colpa e si catapulta nelle stanze per vedere se per caso ha interrotto involontariamente i dolci sogni di qualcuno. 

A quel punto colta da amorevole pietà e senso materno, ti rivolge uno sguardo pieno di affetto e ti fa:

T’aggiu svegliato?

Eh! 

‘U voi portatu ‘u café?

-Magari!

-In cucina ce n’é rimastu nu’ picchi

– Va bene!

– Jé friddu…

-Va bene lo stesso! 

-E vatelu pigghia!

Albe di qui

         Per una volta sono andata a dormire presto e sono già in piedi da un pò. Non che mi lamenti di far tardi. Tutto sommato mi sto divertendo! Cugini e sorelle in gran forma che sparano battute … Continua a leggere