E poi tra i “pensieri che non voglio fare” ecco spuntare lui, il solito, quello che ha dato inizio a questo blog, quello che ancora non riesco a lasciare andare del tutto, il solito asfissiante pensiero su Mr. Vain.
Stanca di essere uguale a me stessa
Mi avventuro incauta per delle vie che non conosco.
E intanto mi stupisco di questo gelido Aprile
e di questo vento bastardo che
se solo vuole può graffiarti il viso.
Stanca di essere uguale a me stessa
Abbandono quel forzato sorriso
E mi siedo un poco a guardare le nuvole
E le scie degli aerei
Indovinando le rotte
Come facevo con te
Nelle sere d’Agosto
Quando ancora gioivo
Nell’essere me.
Â
Lui girava per le strade fischiettando una canzone d’altri tempi.
Il cappello sceso sopra gli occhi e l’aria di chi ne ha viste molte, ma non abbastanza.
Dava i calci ai sassi che incontrava sulla via e ad ogni calcio esprimeva un desiderio. Per ogni desiderio tirava fuori un sogno dalle tasche e per ogni sogno un sospiro lungo e pensoso.
Lei camminava ondeggiando, facendo svolazzare leggermente la sua gonna a ruota. Ad ogni passo sorrideva di più, un sorriso ampio e generoso su quella bocca che pareva disegnata, sulle labbra un rossetto rosso brillante che si intonava con il mondo.
Si caddero addosso per una distrazione o forse per destino in un soleggiato mattino di settembre.
Prima di baciarsi lui sospirò e lei gli sorrise. Nei loro sguardi la stessa domanda: quando e dove si erano già visti?
Da bambina ero una stronza da manuale. Non so se son stati i grandi amori naufragati, quelli che neanche son partiti o le batoste forti come le cadute in testa di un albero maestro, a far affondare come il Titanic la mia autostima e quel sano “tirarsela un po’”, atavicamente connaturato all’essere donna, ma di una cosa son certa: da bambina ero una che ti faceva calare i calzoncini. Letteralmente.
C’era un gruppetto di coetanei, tutti di non più di 4-5 anni, con cui in giardino si giocava all’acchiapparella, all’epoca meglio conosciuto come l’acchiappafemmine, a Lupomangiafrutta e a Stregamangiacolor.
Poi c’erano i giochi un po’ più pericolosi, tipo la capriola all’indietro appesi alle sbarre (che in realtà era il giro della morte), il salto all’isoletta, che altro non era che un’aiuola separata da quasi un metro di vuoto dal giardino, e le discese con la Bmx dritti a schiantarsi contro la serranda del Garage.
Durante tutte le nostre scorribande, però, c’era una regola pacifica. Se scappava la pipì non si tornava a casa, ma la si faceva “dietro la montagnetta” le femmine da una parte, i maschi dall’altra.
Fino a quando ci arrivò “la proposta”.
Un angelo biondo di 5 anni si fece portavoce dell’audace richiesta di un nutrito gruppo di ragazzini e con una voce candida come il bucato lavato col Dixan ci disse: “Se noi vi facciamo vedere il pisellino, voi ci fate vedere la patatina?”.
Ricordo che le mie compagne di giochi scapparono inorridite di fronte a tanto ardire, manco stessimo giocando all’acchiappafemmine, mentre io, mossa ancora non so da quale coraggio, ma molto più probabilmente da tanta curiosità , mi incamminai fiera e baldanzosa verso la montagnetta, seguita da quel nugolo di bimbetti trionfanti.
“Prima voi!” esclamai con fare sicuro. E dopo averli esaminati ad uno ad uno con smaliziata e divertita meraviglia, mentre gli avventurosi maschietti con le brache calate cominciavano a urlare “Ora tocca a te!”, feci una smorfia sprezzante, mi voltai e me ne andai.
Con noncuranza e con l’aria di chi ha appena deciso che il gioco non vale la candela.
Ecco, ora, per favore riportatemi lì.
Ai veri tempi del Girl Power e del Ce l’ho d’oro.
Brucia sul viso come gocce di limone L’eroico coraggio di un feroce addio Ma sono lacrime mentre piove piove
Ho una mente bastarda,
Torna indietro nel tempo.
Tento invano di legarla
Con mille nodi al presente.
Ma lei sfugge, e indifferente,
Torna ancora a quel momento
In cui con un ultimo bacio d’amore,
Hai spezzato l’ incanto
Ed hai spento il mio cuore.
Se non contiamo le recensioni su Amazon, che poi dovrebbero essere le uniche che ho scritto, e considerando che la maggior parte di esse altro non sono che le mie rimostranze sull’ultimo epilatore acquistato, non si può dire che mi sia mai cimentata nello scrivere una recensione.
E tranquilli, no, non ho deciso di iniziare proprio ora (anche perchè, detto tra noi, non ne sarei assolutamente capace).
E cercherò anche di riuscire nell’ardua impresa di non farvi troppi spoiler.
Come si fa a spiegare perchè un libro vale la pena di essere letto senza anticipare nulla? Forse a questa domanda sanno rispondere i recensori seri, ma siccome questa non è una recensione seria, non pretendete troppo da me  e sappiate che qualcosina mi scapperà , proprio come alla nonna del protagonista! (e questa la capirete solo dopo aver letto il libro!).
Ecco. Partiamo da lui. Il protagonista: Cesare.
Volete sapere perchè Cesare ti entra subito nel cuore?
Perchè, come dirà Holly, la sua prima fidanzata, Cesare è un “coglione sognatore”. Un adorabile coglione sognatore, aggiungo io.
Il sogno, Cesare, ce l’ha nel sangue, trasmesso da quell’altro inguaribile sognatore che è suo nonno, che dei suoi sogni e dei suoi fantasmagorici viaggi ha fatto il motivo e, forse, anche il fine ultimo della sua esistenza.
E allora c’è il sogno dell’infanzia: una rocambolesca impresa in cui si imbarcherà col suo migliore amico, Massimo, e che mi ha fatto letteralmente “scompisciare” dalle risate (e anche questa la capirete solo dopo averlo letto!).  Ci sono i sogni sull’orlo del pozzo, sussurrati al suo alter ego Merlino. E, infine, c’è “il folle sogno” che lo porterà dal mondo difficile e piatto dei cosiddetti sani a quello grigio, ma certamente anche più colorito, dei “non sani”.
Cesare è così, sogna anche e soprattutto quando è sveglio, e forse è per questo che, pagina dopo pagina, impari a volergli bene, così tanto che quando arrivi alla fine del libro, ti senti orfano, ti sembra di aver perso un fratello, un amico, un compagno di avventure.
L’autore ha una scrittura incisiva, coinvolgente, senza fronzoli, ma ipnotica: che ti cattura completamente con le sue  significative e calzanti metafore.
“E intanto il tempo continua a passare lentamente, come il passo di una lumaca che percorre l’infinito, con il peso della sua chiocciola piena di ricordi vissuti”
 O la mia preferita:
“Quando io e Holly per la prima volta facemmo l’amore, eravamo due linee parallele che frantumavano le certezze della geometria per intrecciarsi in unica linea.”
Beh, penso di avervi spoilerato abbastanza, sappiate semplicemente che questo libro l’ho amato alla follia e giuro che quando imparerò a scrivere recensioni serie (in quelle sugli epilatori vado già alla grande!) questo libro avrà da me le parole che merita!
Musica consigliata durante la lettura : Altrove di Morgan, anche se sono certa che Cesare vi avrebbe consigliato qualche canzone di De Gregori o meglio del Degre, come lo chiama lui.
Forse già lo sai che a volte la follia sembra l’unica via per la felicitÃ
C’era una volta un ragazzo chiamato pazzo e diceva sto meglio in un pozzo che su un piedistallo